1. Scoperta, ci si rende conto che esiste una problematica che sfugge all’analizzato.
2. Consapevolizzazione, in cui ci si rende chiara la dinamica della problematica e ne fa prendere coscienza.
3. Accettazione, in cui l’analizzato non si protegge più da quel problema, accettando l’idea di avere delle limitazioni .
4. Cambiamento, in cui si lavora per eliminare quelle limitazioni che sono state accettate, e incamminarsi verso la liberazione di "catene", "lacci" e "laccetti".
L’abitudine di pensare in negativo porta a costruire degli elaborati orientati verso delle soluzioni conflittuali, non in grado di risolvere il problema: praticamente, è come se da soli concludessimo che non c’è più niente da fare. Pensare positivo, invece, come abbiamo visto in un precedente lavoro, porta ad analizzare tutte le possibili soluzioni in chiave razionale, logica, aderenti alle Leggi di Natura. Bisogna modificare il proprio sistema di elaborazione per superare i pensieri negativi. Se lei elabora idee negative, non sta lavorando per il suo benessere, perché un benessere negativo non esiste. I nostri equilibri interni sono altalenanti, e noi ci impegniamo per ripristinarli: è un lavoro continuo anche se, essendo inconsapevole, poche volte ce ne accorgiamo.
La strategia migliore, consiste nel capire le motivazioni responsabili della paura e, quindi, eliminare il tutto. Di conseguenza non ci si deve forzare. Esiste anche il modo per assuefarsi agli stimoli che producono paura, attuando un comportamento "desensibilizzante", che porta ad affrontare ciò che fa paura, in maniera graduale. In questo modo, può darsi che la fobia nei confronti di un oggetto o di un essere animato sparisca, ma ne comparirà certamente un’altra, proprio perché non si sono risolti i motivi strutturali. Posso, per esempio, aver paura delle api, perché sono stato aggredito da una sciame, oppure posso aver paura delle api, perché queste ultime sono collegate ad un episodio di vita in cui ho subito un trauma. In quest’ultimo caso, osservando un ape io, a livello inconsapevole, rivivo per un attimo l’episodio che mi ha fatto molto soffrire e, sempre inconsapevolmente, mi impedisco di ricordarlo producendo fobie nei confronti dell’insetto: in questo modo, l’idea ossessiva fobica, "coprirà" il ricordo traumatico che resterà, in tal modo, "sepolto" in memoria. In pratica, il meccanismo attivato, mi porta a fuggire, non tanto dall’insetto in sé (in assenza del quale, infatti, non esiste la tensione fobica), quanto da quell’elemento che mi produrrebbe il ricordo dell’evento spiacevole. NESSUNO PSICOFARMACO MI RISOLVERA’ MAI IL PROBLEMA! ATTENUERA’, SEMMAI, SOLO LA MANIFESTAZIONE SINTOMATOLOGICA, CHE POTREBBE RICOMPARIRE, AL MOMENTO DELLA SOSPENSIONE DEL FARMACO.
Esistono due modi per costruirci, dentro di noi, delle protezioni mentali, per riuscire (pur incamerando elementi sensoriali del mondo esterno) a trasformare i diversi e molteplici dati negativi in qualcosa di non dannoso, così da sfruttare tutti i tipi di messaggi che ci arrivano dall’esterno
1. Imparando ad usare le griglie di protezione in entrata, in elaborazione ed in uscita.
2. Diluendo i contenuti negativi in memoria, parlandone in ambiente analitico, così da potersene liberare e ricevere in cambio dei messaggi positivi; in questo modo tali informazioni scorrette, si "smagnetizzano" pian piano. È un lavoro da fare In ambiente analitico perché all’esterno, qualunque frase detta da un amico potrebbe rinforzare gli elementi da diluire, peggiorando la situazione.
I sensi di colpa possono determinare l’instaurarsi di fobie perché, per non pensare a comportamenti giudicati negativi, che ci creano dei conflitti soprattutto di tipo affettivo, possiamo innescare il meccanismo fobico ossessivo descritto sopra, proprio per impedirci di pensare ad altro. Se io per esempio, mi sento in colpa perché non mi sono recato a far visita ad un congiunto che dopo poco è deceduto, potrò produrre (ad esempio) una fobia che mi impedirà di utilizzare l’automobile. A quel punto, da una parte mi sarò punito (proprio perché mi sento in colpa), dall’altra, la limitazione conseguente al problema, mi attanaglierà al punto di impedirmi di provare rimorso per quanto o ho fatto. È giocoforza concludere che, per affrontare il problema, come al solito, bisognerà capire le motivazioni, per lavorarci su e risolverle: a quel punto, la fobia sparirà.
Per combattere i sensi di colpa, se qualcuno infierisce su di noi usiamo la logica, che ci orienta verso le Leggi di Natura, le quali privilegiano l’integrità della nostra identità. I sensi di colpa possono nascere soprattutto da conflitti di tipo affettivo: basta aver chiaro il concetto che l’affettività va esplicata prima nei propri confronti e poi nei confronti di altri, per smontare alla base lo stato nascente del problema. Quante volte ci sentiamo in colpa per aver fatto soffrire qualcuno? Basterebbe domandarsi: "HO TUTELATO ME STESSO? POTEVO FARE ALTRO? LE RICHIESTE POSTEMI DALLA PERSONA CHE HO FATTO SOFFRIRE, ERANO CORRETTE? MI AVREBBERO DANNEGGIATO, IN QUALCHE MODO?"Pensando in questo modo, il senso di colpa sparisce. All’apparenza può sembrare una scelta di vita scarsamente protesa verso la solidarietà. In realtà, operando così, si possono porre le basi per costruire una Società fondata sul rispetto reciproco, al riparo da ricatti morali, questi si, inumani e forieri di sofferenze inaudite!